Il giorno dopo il duplice omicidio che ha sconvolto la comunità di Riposto ad opera di Salvatore La Motta, successivamente suicidatosi dinnanzi la caserma dei carabinieri, parla il suo legale.
“Le due donne uccise ieri le conoscevo, era due care ragazze. Non mi ricordo di contatti tra loro o con La Motta. Lui non era sposato e non so se frequentasse qualcuna in particolare, avevo capito che c’era una piccola storia in particolare, ma atteneva alla sua sfera privata e non al nostro rapporto professionale. Ma niente lasciava presagire minimante quello che è successo”. Lo afferma l’avvocato Antonino Cristofero Alessi, difensore di Salvatore La Motta, l’ergastolano in permesso premio suicida davanti la caserma dei carabinieri, dopo due femminicidi commessi a Riposto. Le vittime sono Carmelina ‘Melina’ Marino, di 48 anni, freddata nella sua auto nel lungomare Pagano, e Santa Castorina, di 50, assassinata sul marciapiede della centralissima via Roma. Il collegamento tra le due donne e l’uomo sono al centro delle indagini dei carabinieri della compagnia di Giarre e del nucleo Investigativo del comando provinciale di Catania, coordinate dalla Procura distrettuale etnea.
“Avvocato sto venendo, vengo io”. Così Salvatore ‘Turi’ La Motta, 63 anni, ha risposto al suo avvocato Antonino Cristofero Alessi, che lo aveva appena chiamato dalla caserma dei carabinieri di Riposto. L’ergastolano in permesso premio, poi suicida, era ricercato dalle forze dell’ordine nell’ambito delle indagini su due femminicidi commessi a Riposto. L’avvocato era nella caserma dei carabinieri per seguire un altro caso. Sono stati i militari dell’Arma a chiedergli di mettersi in contatto con il suo assistito per convincerlo a consegnarsi. “Ho chiamato La Motta utilizzando il viva voce – ricostruisce il penalista – e gli ho detto di costituirsi ai carabinieri, di dirmi dove si trovava che potevano andare a prenderlo e sapendo che poteva contare sulla mia presenza per l’immediata assistenza legale. Lui mi ha risposto ‘sto venendo, vengo io’. La Motta – aggiunge – è arrivato cinque minuti dopo. Aveva un’arma in mano e mi ha chiamato ‘Antonio’, con il mio primo nome i carabinieri gli hanno intimato di posare la pistola, e poi ho sentito lo sparo….”. “Mai avrei immagino – sottolinea il penalista – che potesse accadere tutto questo, non c’è stato nessun segnale pregresso, nessuno. Impensabile. Era un detenuto che aveva usufruito dei permessi di legge per buona condotta: lavorava a Riposto, prima in un panificio, poi in una rivendita di formaggi. Durante i due anni di Covid dormiva a casa della sua famiglia, dal 3 gennaio, finita l’emergenza pandemica, rientrava la sera al carcere di Augusta, nel Siracusano”.